Il Sud che non rimpiange i Borbone L’appello e il Pantheon dei patrioti

(Corriere della Sera, 18 ottobre, 2017 – di Antonio Carioti) 

Mazziniani e garibaldini in campo nel nome dei protagonisti meridionali del Risorgimento: «Basta con i politici che scaricano sul passato le colpe dei loro fallimenti»

1794, a Napoli il primo martire

C’è chi dice no. No ai pregiudizi contro il Sud e all’oblio della questione meridionale. Ma anche un no, altrettanto fermo, alla nostalgia dei Borbone e agli attacchi contro l’unità d’Italia. No alle celebrazioni del «brigantaggio» come quelle approvate dalla Regione Puglia. È un Mezzogiorno niente affatto vittima, ma protagonista del Risorgimento quello a cui si richiama l’appello lanciato da Mario Di Napoli, presidente dell’Associazione mazziniana, e da Annita Garibaldi Jallet, discendente del generale in camicia rossa e presidente dell’Associazione reduci garibaldini. Il Risorgimento, sostengono i due promotori, è stato una rivoluzione politica e culturale, che ha diffuso le idee di libertà nella nostra penisola. Lungi dal rinnegarlo, un Sud proiettato verso il riscatto deve raccoglierne il messaggio di rinnovamento ancora attuale, svincolandosi dal vittimismo piagnone di «classi dirigenti incapaci, pronte a scaricare sul passato la responsabilità dei propri fallimenti». Non a caso per la loro sortita, un’autentica sfida ai gruppi neoborbonici, Di Napoli e Garibaldi Jallet hanno scelto il 18 ottobre, anniversario dell’esecuzione di Emanuele De Deo, considerato il primo martire meridionale del Risorgimento: un giovane di soli 22 anni impiccato nel 1794 per le sue idee repubblicane, nella Napoli dei Borbone, insieme ad altri due ragazzi, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani. Il precursore di un Pantheon patriottico meridionale che conta molti nomi illustri. Per esempio due intellettuali irpini di statura europea, Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao Mancini, ai quali l’Istituto per la storia del Risorgimento ha dedicato il suo LXVIII Congresso, in programma a Napoli dal 25 al 28 ottobre.

La musa della Repubblica napoletana

Tra i volti del Risorgimento meridionale non manca la componente femminile. Eleonora Fonseca Pimentel era nata a Roma nel 1752 da una famiglia aristocratica portoghese, ma era sempre vissuta a Napoli. Donna colta e brillante, in passato vicina alla regina Maria Carolina, fu arrestata nel 1798 per le sue idee anticonformiste e liberata l’anno dopo, quando arrivò a Napoli l’esercito della Francia rivoluzionaria. In prima linea nella effimera Repubblica nata dopo la fuga in Sicilia del re Ferdinando IV, protetto dalla flotta britannica, Eleonora diresse il periodico «Monitore Repubblicano», cercando di conquistare il consenso del popolo al nuovo ordine. La riscossa borbonica segnò la sua sorte: fu impiccata il 20 agosto 1799.

Giurista e combattente

Nato a Brienza, in Lucania, Mario Pagano fu il capofila della scuola giuridica partenopea, avvocato dalle arringhe dotte e ricche di citazioni filosofiche, tanto da essere soprannominato «il Platone di Napoli». Noto anche all’estero, durante la Repubblica del 1799 ebbe incarichi di governo e preparò un progetto di Costituzione molto moderno. Tra l’altro prevedeva una magistratura suprema, l’eforato, con competenze simili a quelle dell’attuale Corte costituzionale. Dopo aver difeso la Repubblica con le armi in pugno, Pagano fu processato e condannato a morte. Lo impiccarono a Napoli il 29 ottobre 1799.

Il primo generale del Risorgimento

Per ben tre volte Guglielmo Pepe prese le armi per la causa della libertà e fu sempre sconfitto, ma il suo coraggio ne fece un’icona del movimento patriottico. Nato a Squillace, in Calabria, nel 1783, partecipò giovanissimo alla Repubblica napoletana e poi fece una brillante carriera di ufficiale nel periodo napoleonico. Dopo la Restaurazione, quando il re Ferdinando di Borbone concesse un regime costituzionale cedendo ai moti carbonari del 1820 e l’Austria intervenne per ripristinare l’assolutismo, Pepe comandò le forze che vennero battute dall’esercito asburgico a Rieti e Antrodoco, il 7 marzo 1821, in quella che è considerata la prima battaglia del Risorgimento. Più tardi, nel biennio 1848-49, guidò le truppe napoletane impegnate nella Prima guerra d’Indipendenza contro l’Austria e fu uno dei protagonisti della resistenza di Venezia. Morì in esilio a Torino.

Ministro, carcerato, deputato

Proveniente da una famiglia di patrioti napoletani, Carlo Poerio era un uomo di sentimenti moderati, avverso al repubblicanesimo mazziniano. S’impegnò quindi nell’esperimento costituzionale avviato a Napoli nel 1848 e fu per breve tempo ministro dell’Istruzione. Si dimise dopo gli scontri del 15 maggio 1848, che segnarono l’inizio della reazione, e nel 1849 venne condannato a 24 anni di carcere duro. Le sue condizioni di detenzione nella prigione di Montesarchio (Benevento) scandalizzarono il leader liberale inglese lord William Gladstone, futuro primo ministro del Regno Unito. Liberato nel 1859 ed espulso verso l’America, Poerio riuscì con altri reclusi a dirottare in Irlanda la nave che lo trasportava grazie all’aiuto di Raffaele Settembrini, ufficiale della marina britannica e figlio di Luigi, un altro prigioniero politico. Divenne poi deputato del Regno d’Italia e morì a Firenze nel 1867.

Fustigatore dei Borbone

Autore del pamphlet Protesta del popolo delle Due Sicilie, durissimo atto d’accusa contro il governo borbonico, Luigi Settembrini era nato a Napoli nel 1813. Patriota convinto e fine letterato, fu prima costretto a fuggire a Malta, poi arrestato nel 1849 e condannato a morte nel 1851. Grazie alla sua notorietà la pena capitale venne commutata in quella dell’ergastolo: imprigionato per dieci anni, Settembrini in carcere traduceva dal greco antico i Dialoghi di Luciano di Samosata. Destinato alla deportazione come Poerio, riuscì a sottrarvisi grazie all’intervento di suo figlio Raffaele. Dopo l’unità d’Italia, fu professore e rettore dell’Università di Napoli, nonché senatore del Regno. Importanti le sue memorie uscite postume, Ricordanze della mia vita.

L’eroe sfortunato di Sapri

Tra i primi a professare idee socialiste nel nostro Paese, il napoletano Carlo Pisacane partecipò alla Repubblica romana del 1849 e si convinse della necessità di conquistare le classi più umili alla causa rivoluzionaria. Distaccatosi dal più moderato Giuseppe Mazzini, Pisacane nel 1857 tentò un’audace spedizione insurrezionale, liberando i detenuti del penitenziario sull’isola di Ponza e sbarcando a Sapri, attualmente in provincia di Salerno, nella speranza di sollevare i contadini contro il governo. Il tentativo non incontrò tuttavia il favore della popolazione e fallì rapidamente di fronte alla reazione borbonica. Pisacane cadde ucciso il 2 luglio 1857: non aveva ancora compiuto 39 anni.

Una pasionaria venuta dal Salento

Nata a Gallipoli (Lecce) nel 1818, Antonietta De Pace aderì alla Giovine Italia di Mazzini e divenne una figura di primo piano del movimento patriottico, occupandosi in particolare di tenere i contatti tra i detenuti politici e il mondo esterno. Arrestata nel 1855, venne tuttavia assolta dopo 18 mesi di detenzione. Durante la spedizione dei Mille appoggiò l’azione delle camicie rosse e Giuseppe Garibaldi la volle con sé al momento del suo ingresso a Napoli, il 7 settembre 1860. Dopo l’unità d’Italia Antonietta De Pace si dedicò a promuovere l’istruzione femminile. Morì nel 1893.

L’uomo che aprì la strada ai Mille

Di nobile famiglia siciliana, il palermitano Rosolino Pilo fu protagonista dei moti contro il governo borbonico nel 1848-49. Costretto all’esilio dalla repressione, prese contatti con Mazzini e Pisacane, del quale cercò di appoggiare l’infelice impresa a Sapri nel 1857. Figura molto attiva della cospirazione patriottica, nel 1860 precedette Garibaldi in Sicilia, sbarcando a Messina il 10 aprile e preparando il terreno alla spedizione dei Mille. Dopo l’arrivo della camicie rosse sull’isola, ne appoggiò l’avanzata con una colonna di volontari. Cadde ucciso in combattimento il 21 maggio 1860, mentre svolgeva un’azione diversiva per consentire l’ingresso di Garibaldi a Palermo.

Un hegeliano abruzzese

Fine teorico del liberalismo, autore di scritti fondamentali sulla pubblica amministrazione, Silvio Spaventa era nato a Bomba, nell’attuale provincia di Chieti. Fratello del filosofo Bertrando e influenzato come lui dal pensiero hegeliano, partecipò all’esperienza costituzionale napoletana del 1848. Condannato a morte nel 1849, pena poi commutata nell’ergastolo, rimase in carcere fino al 1859, quando fu inviato in esilio con Poerio e Settembrini. Tornato in Italia, divenne uno dei più fidati collaboratori di Camillo di Cavour ed ebbe il difficile incarico di assicurare l’ordine pubblico nel Sud subito dopo l’annessione del 1860. Deputato del Regno dal 1861 al 1889, poi senatore, fu anche ministro dei Lavori pubblici. Parente di Benedetto Croce, lo accolse nella sua casa romana dopo che il futuro filosofo era rimasto orfano di entrambi i genitori.

Costruì l’identità italiana

La Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, per quanto oggi discussa e controversa, resta una pietra miliare non solo nel campo della critica, ma nella costruzione della nostra identità nazionale. Nato in Irpinia duecento anni fa, escluso dall’insegnamento e poi costretto all’esilio nel 1853 dalla repressione borbonica, per diversi anni De Sanctis tenne una cattedra di Letteratura italiana a Zurigo. Fu poi governatore di Avellino dopo l’impresa dei Mille e più volte ministro della Pubblica istruzione del Regno d’Italia. Le lezioni di De Sanctis sulla Letteratura italiana nel secolo XIX costituiscono una delle prime ricostruzioni organiche — se non la prima in assoluto — delle vicende risorgimentali.

Il teorico della nazione

Giurista di statura europea, il nobile irpino Pasquale Stanislao Mancini nacque due secoli fa e fu costretto all’esilio dopo la fine dell’esperimento costituzionale a Napoli nel 1848-49. Rifugiatosi a Torino, ottenne la prima cattedra di Diritto internazionale in quella università. Teorico del principio di nazionalità, fu più volte ministro del Regno d’Italia e si batté con successo per l’abolizione della pena di morte. Anche sua moglie, Laura Beatrice Oliva, fu una fervente patriota, autrice di componimenti poetici che celebravano i protagonisti del Risorgimento. Mancini fu il primo presidente dell’Istituto di diritto internazionale fondato a Ginevra nel 1874, un organismo che nel 1904 vinse il premio Nobel per la pace.

Addio alle nostalgie

Anche se suo padre era fedele ai Borbone ed era stato arrestato con due fratelli (zii di Giustino) per sospetta complicità con il brigante Carmine Crocco, Giustino Fortunato divenne un sostenitore convinto dell’unità d’Italia. Nato in Basilicata nel 1848, allievo di Mancini e De Sanctis, nel 1880 fu eletto deputato a Melfi (Potenza) e rimase in Parlamento per circa quarant’anni. Di idee liberal-conservatrici, si batté con grande indipendenza di giudizio per richiamare l’attenzione dello Stato centrale sui problemi drammatici del Mezzogiorno. Prese posizione contro Mussolini e nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da un altro meridionale, Giovanni Amendola, e scritto dal grande filosofo napoletano Benedetto Croce.