Lettera congressuale ai soci dell’Associazione Mazziniana Italiana

IL XXVIII congresso nazionale è convocato a Roma dall’1 al 3 marzo 2019, in occasione del centosettantesimo anniversario della Repubblica Romana. Non si tratta di un mero omaggio celebrativo alla memoria della pagina più gloriosa del nostro Risorgimento nell’ottica della democrazia repubblicana, ma di una precisa rivendicazione del messaggio universale della Terza Roma, la Roma del Popolo che, dopo quella dei Cesari e dei Papi, Giuseppe Mazzini additava agli italiani come missione da compiere.

In chiave attuale, il messaggio mazziniano ha una triplice declinazione, a livello nazionale, europeo e globale. Esiste oggi il popolo italiano a cui la Costituzione riconosce la sovranità? Esiste oggi il popolo europeo che dovrebbe legittimare democraticamente il processo di integrazione sovranazionale? Esiste oggi la fratellanza universale tra i popoli quale premessa indispensabile della pace e della prosperità del mondo? La triplice risposta negativa indica ai mazziniani soltanto la strada da percorrere, non certo l’accettazione dello status quo e della conseguente rassegnazione, perché nel nostro DNA sono inscritti l’aspirazione rivoluzionaria al cambiamento, l’imperativo categorico del dovere morale, la fede nell’unità e nella bontà del genere umano.

 

Tutti ricordiamo la fallace illusione della “fine della storia” che aveva fatto seguito al crollo del comunismo sovietico venti anni fa, all’insegna del trionfo del libero mercato. Prima l’attacco alle torri gemelle, poi la crisi economica hanno spazzato via quell’illusione e sembrano aver sprofondato, almeno le società occidentali, in un generale smarrimento che trova facile sfogo nel ripiegamento autoreferenziale che prende ora il nome di localismo, di sovranismo, di populismo, di nazionalismo, in una ridda di –ismi che solo nominalmente si contrappone alla globalizzazione perché in realtà ne condivide il principio direttivo, e cioè l’individualismo negatore del principio-cardine del mazzinianesimo: l’Associazione.

Nell’ultimo decennio, la crisi – che è politico-culturale prima che economico-finanziaria – si è aggravata dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico, ma si è anche chiarita nella sua dinamica. E’ soprattutto crisi della democrazia, cioè della fiducia nel pluralismo politico come strumento di espansione della libertà e della giustizia. In un numero sempre maggiore di paesi, aumenta il fascino di quella che è stata chiamata “democratura”, un regime che conserva esteriormente i caratteri della democrazia ma si fa dirigere da un rapporto capo-massa in cui la sovranità popolare è stata strumentalizzata ed asservita. Le concause sono state più volte sviscerate: la rivoluzione tecnologica, l’immediatezza della comunicazione, la disintermediazione, la diseguaglianza sociale crescente, la redistribuzione della ricchezza a favore degli ex Paesi in via di sviluppo, ecc.  Ma spesso si tralascia il tema decisivo, vale a dire la mancanza del tessuto connettivo del senso di comunità. La crisi viene semplicisticamente impostata nel divario tra classi dirigenti e cittadini, mentre va ricondotta alla più profonda perdita della fiducia nel futuro e della consapevolezza di condividere un destino comune.

 

Non è un caso che la crisi si stia manifestando con tanta virulenza in Italia, dove sono minori gli antidoti verso le derive demagogiche, alla luce della più recente unificazione e dello scarso radicamento – anche scolastico – dell’educazione civica. Se dieci anni fa, come mazziniani, ci domandavamo dove andasse la Repubblica, oggi non possiamo che trarre un bilancio molto negativo alla luce di un sistema politico definitivamente imploso, in cui ciascuna istituzione va per conto suo e si procede giorno per giorno tirando fendenti all’ordinamento costituzionale oggi gravemente minacciato sotto il profilo della stessa unità nazionale dalle richieste di autonomia delle regioni più ricche dimentiche di dovere il loro benessere a tutta la compagine nazionale.

Generale è nel nostro paese la preoccupazione che le nuove generazioni sperimenteranno condizioni di vita per la prima volta peggiori di quelle che le hanno precedute. Una simile meraviglia risulta assai stupefacente. Non era evidente che questo sarebbe stato l’inevitabile esito della crescita vertiginosa del debito pubblico? Chi ha preferito lo sviluppo dei consumi privati a quello dei beni pubblici al tempo del centro-sinistra? Chi ha costruito nei decenni successivi il consenso elettorale sulla spesa pubblica congiunta allo scellerato patto degli alti tassi di interesse sui titoli di stato? Sembra che di colpo abbiamo tutti perso la memoria. Ed ecco che ci vengono in soccorso i capri espiatori: l’euro che, lungi dall’averci preservato dall’inflazione e dalla svalutazione, sarebbe la causa di tutti i nostri mali se non si fossero aggiunti, a condividerne l’onere, gli immigrati i quali a loro volta, lungi dal contribuire a sanare il saldo demografico e previdenziale, starebbero minando le radici della nostra civiltà cristiana (a quanto pare, con il concorso del Papa!). Ed ecco che oggi risuona da ogni parte, quale facile eco di un richiamo d’oltre Atlantico, lo slogan “Prima gli Italiani!”, solo apparentemente nuovo, dal momento che si tratta solo di una roboante riedizione dell’antico vizio dell’assistenzialismo. Nulla sarebbe immaginabile di più lontano da Mazzini, che ci ha insegnato la natura storica e non etnica dell’idea di nazione ed ha additato l’anteposizione del dovere al diritto nei confronti della propria patria e dell’umanità. Ma c’è una via di uscita o siamo di fronte ad un processo ormai ineluttabile di disgregazione della comunità nazionale?

 

La democrazia si ricostruisce dal basso. Le istituzioni sono mere cornici giuridiche se non sono irrorate dalla partecipazione dei cittadini, ma i cittadini non sono meri soggetti individuali. In ragione del principio della sovranità popolare, in ogni cittadino sta un’oncia di quella sovranità che può e deve esercitare nella consapevolezza di agire non solo in suo nome ma di tutta la collettività di cui fa parte. Una tale coscienza diffusa tra i cittadini crea il popolo di una democrazia. Oggi non si fa che parlare di popolo, ma nel senso opposto di un’entità astratta di cui i demagoghi di turno si farebbero interpreti. Il popolo in carne ed ossa sono invece i cittadini consapevoli ed associati che, ai diversi livelli di governo, formulano l’indirizzo politico, eleggono i loro rappresentanti, prendono parte attiva alla vita pubblica, si auto-educano ogni giorno in vista del migliorare se stessi e gli altri.

Mai come oggi gli italiani hanno bisogno di una forte iniezione di mazzinianesimo per scrollarsi di dosso le pulsioni egoistiche che sono autolesioniste e ritrovare quello spirito di comunità che solo può garantire la ripresa dello sviluppo del Paese. Sembra invece che questo obiettivo non interessi. La gran parte delle forze politiche e sociali ignora la costruzione del futuro e si concentra nella divisione della torta del presente, distinguendosi solo per il modo di farne le fette, distribuendone ora più all’una ora all’altra categoria, senza mai darsi realmente pensiero di accrescere la ricchezza nazionale anche a costo di sacrifici da sostenere a vantaggio dei giovani sempre più rinchiusi nella gabbia umiliante della disoccupazione.

 

I mazziniani che si sentono eredi dei patrioti che hanno fatto l’Italia e l’hanno inserita nella dimensione dell’Europa democratica sentono la responsabilità di lavorare per ricostruire la possibilità stessa del futuro per un popolo che deve ritrovare se stesso e non può che farlo guardando al di là dei confini nazionali. Quale Stato fondatore dell’UE, oggi l’Italia dovrebbe essere al fianco della Francia e della Germania i cui leader, pur nell’incertezza e talora nel velleitarismo, sapendo di scontentare larghi strati dei rispettivi elettorati, tentano di delineare il solo percorso che può salvare l’Europa dall’emarginazione politica ed economica nei nuovi equilibri mondiali, quello dello sviluppo dell’integrazione verso l’unione politica federale. L’attuale configurazione dell’UE mostra la sua assoluta inadeguatezza ed aliena fasce crescenti dell’opinione pubblica proprio perché non è né carne né pesce, non più una mera organizzazione internazionale, ma non ancora un’entità federale. E’ l’ora di fare il decisivo passo in avanti e non di tornare indietro!

 

Mazzini ci ha insegnato a lottare contro la violazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ad ogni latitudine perché il principio religioso dell’unità del genere umano fa sì che quella violazione ci riguardi direttamente. Quando cesseremo di essere sensibili ai crimini contro l’umanità, saremo pronti a cedere noi stessi i nostri diritti alla legge del più forte. Dalla Terza Roma, traiamo l’impegno a lavorare per ricostruire la comunità nazionale, per fondare la federazione europea, per affratellare i popoli della terra. Una sfida di cui dobbiamo saper essere all’altezza rafforzando innanzitutto la nostra Associazione che negli ultimi anni ha anch’essa sofferto per il calo pur fisiologico degli iscritti, l’inattività di alcune sezioni, la chiusura non ancora rimpiazzata dell’”Azione Mazziniana”, l’eco delle polemiche politiche, il persistente squilibrio territoriale che ci vede molto poco presenti al Sud minacciato dalle nostalgie neoborboniche. Questo congresso deve segnare una ripartenza che, a mio avviso, deve puntare su tre direzioni:

  1. il più ampio ringiovanimento della compagine sociale anche a livello degli organi direttivi, oltre che nelle forme della comunicazione;
  2. l’apertura internazionale e la ricerca di interlocutori negli altri paesi europei;
  3. il dibattito interno sui principi-cardine del mazzinianesimo.

E’ venuta l’ora, dopo aver ricostruito la nostra storia nel volume pubblicato per il settantesimo anniversario della fondazione, di edificare l’AMI del XXI secolo.

 

La pattuglia mazziniana deve sapere innanzitutto resistere alla seduzione della semplificazione, della presentificazione, della banalizzazione che stanno imprigionando in una sorta di “bolla” il pubblico confronto. Ne vengono talora incolpati i nuovi mezzi di comunicazione, ma in realtà essi sono appunto solo mezzi e possono veicolare tanto messaggi positivi che negativi. Non va confuso l’effetto con la causa.

Essere mazziniani nell’Italia del XXI secolo significa non solo rendere testimonianza di un ideale del passato ma lavorare per:

  • la piena attuazione della Costituzione, piuttosto che riformarla a caso;
  • l’unione politica federale dell’Europa anche a partire da un nucleo iniziale di Stati oggi membri dell’UE;
  • la dignità del lavoro non come mera fonte di reddito, ma realizzazione della personalità e modo di contribuire al progresso della società;
  • la ripresa degli investimenti pubblici e privati per contrastare la disoccupazione ed eliminare il divario Nord-Sud nel quadro di uno sviluppo sostenibile;
  • la redistribuzione della ricchezza per ridurre le diseguaglianze sociali, anche in virtù della partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa;
  • l’educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università;
  • l’integrazione degli immigrati alla luce dei principi costituzionali;
  • la tutela universale dei diritti umani in ogni contesto nazionale ed internazionale;
  • la laicità, i diritti civili, il libero arbitrio;
  • la lotta ad ogni forma di discriminazione ed in particolare all’antisemitismo.

 

Un tempo, eravamo solo noi mazziniani a ricordarci della Repubblica Romana e la onoravamo nel nostro calendario laico con orgoglio. Oggi quella memoria è assai più diffusa. Dobbiamo esserne gelosi? Al contrario. E’ la prova della ricchezza e dell’attualità del nostro patrimonio ideale. Forse noi stessi siamo portati a sottovalutarlo ogni tanto e preferiamo custodirlo piuttosto che rischiare di contaminarlo. Il tempo presente ci impone di uscire in mare aperto, di riportare il pensiero mazziniano non solo nelle scuole, ma anche nelle strade. L’AMI non può né deve supplire alla carenza di una rappresentanza politica della democrazia laica: mai siamo stati collaterali e mai lo saremo. Ma possiamo e dobbiamo lavorare sulla coscienza nazionale per riportarvi i valori mazziniani e contribuire a ricreare le condizioni per superare la crisi della democrazia contemporanea. Perché noi siamo il “cuore della Repubblica”.

 

Mario di Napoli

Roma, Febbraio 2019                                                                                       Presidente nazionale AMI

 

 

 

*Al termine dei tre mandati in cui ho avuto l’onore di esercitare la presidenza nazionale dell’AMI, ringrazio tutti gli amici che mi hanno fatto il dono della loro collaborazione in seno alla Direzione nazionale ed agli altri organismi associativi, nonché alla direzione ed alla redazione del “Pensiero Mazziniano” e dell’”Azione Mazziniana”. Un debito inestinguibile ho inevitabilmente contratto con gli amici che mi hanno direttamente coadiuvato negli aspetti organizzativi e finanziari, Nicola Poggiolini e Lamberto Magnani. Ho avuto in questi anni il triste privilegio di salutare nel loro ultimo viaggio troppi amici carissimi che sono stati protagonisti della vita dell’AMI: ricordo per tutti l’eccezionale Maria Pia Roggero a cui abbiamo dedicato l’assemblea precongressuale di Genova svoltasi il 30 novembre e il 1° dicembre 2018. Essi restano tutti nei nostri cuori come esempi ineguagliabili della passione etico-politica del mazzinianesimo.a

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