Un 2 giugno europeo

In occasione della Festa della Repubblica
anticipiamo l’editoriale del Presidente Nazionale
dal titolo Un 2 giugno europeo che uscirà sul PM 2/2020.


Un 2 giugno europeo

“Mettere al centro l’atto di nascita della Repubblica, il referendum del 1946”: con queste parole, in un’intervista del giugno 2016, pochi mesi prima della sua scomparsa, Carlo Azeglio Ciampi ricordò le ragioni che lo indussero a promuovere la legge 336 del 20 novembre 2000,Ripristino della festività nazionale del 2 giugno, data di fondazione della Repubblica. Al Presidente, di cui il 9 dicembre cade il centenario della nascita, premeva valorizzare la Costituzione che rappresentava la “risposta compiuta agli orrori del Novecento, un tentativo di lasciare le guerre e la violenza fuori dall’orbita di chi è nato dopo”, inserendo in una nuova cornice anche la parata delle forze armate, in passato fonte di scontro ideologico. Oltre che dalla Carta Fondamentale, l’azione dello statista livornese è stata ispirata dall’Unione Europea, la cui tenuta non è mai stata messa alla prova come negli ultimi tre mesi. Ecco perché il 2 giugno 2020 acquista per i mazziniani un significato particolare: cogliamo in questa festa l’opportunità per rilanciare la ricostruzione economica e morale del progetto democratico europeo, antidoto al sovranismo e ad una visione multipolare della politica internazionale, di cui la pandemia ha messo a nudo i limiti ed evidenziato i rischi che ci fa correre.

La “guerra fredda” tra Cina e Stati Uniti sui dazi, mascherata dalle reciproche accuse sulle responsabilità per la diffusione del Covid19, od il conflitto scoppiato tra Twitter e Facebook sull’opportunità o meno di censurare le fake news dei politici, ulteriore incognita sul voto presidenziale americano, dimostrano che i pericoli per la democrazia sono ben altri rispetto all’obbligo di indossare una mascherina. Quanto sta accadendo in queste ore ad Hong Kong, negli Stati Uniti ed in Turchia, con l’ONU incapace di esprimere una posizione, deve indurre le istituzioni europee ad accelerare il processo di integrazione. Altro che ritorno agli stati nazionali! Altro che progetto di legge sull’“Italexit” presentato da “Italia Libera” alla Corte di Cassazione! Il futuro del nostro paese è indissolubilmente legato a quello dell’Europa.

A fine marzo, nell’editoriale pubblicato sul “Pensiero Mazziniano” 1/2020, mi chiedevo se con il loro atteggiamento rigido sull’ipotesi di emissione di Eurobond “Angela Merkel e gli olandesi” non volessero “fare un grande regalo ai sovranisti”. Il quesito riguardava soprattutto la Cancelliera tedesca, considerato l’orientamento apertamente nazionalista del governo olandese guidato da Mark Rutte.

Dopo settimane di indugi, Angela Merkel ha ‘risposto’ il 18 maggio, presentando assieme ad Emmanuel Macron la proposta di un “Recovery Fund” da 500 miliardi; l’innovatività del piano è rappresentata dal fatto che per la prima volta la Commissione potrebbe finanziare il fondo raccogliendo prestiti a nome dell’Unione. Si tratta di un passo avanti senza precedenti, soprattutto in vista del 1 luglio, quando comincerà il semestre di presidenza tedesca del Consiglio Europeo. Sarà

l’ultimo grande impegno per la Merkel, che ha annunciato il ritiro dalla politica per il 2021; lasciare con un fallimento sarebbe un fardello troppo pesante da sopportare. Naturalmente il cambio di passo della Cancelliera è stato ispirato anche da un cinico pragmatismo, dato che un rapporto privilegiato con la Cina, il cui PIL nel primo trimestre del 2020 ha segnato un calo del 6,8%, non sarebbe sufficiente a tenere in piedi la macchina produttiva tedesca.

Il rilancio di Ursula Von Der Leyen e della Commissione non si è fatto attendere. I 750 miliardi di euro proposti per il “Recovery Fund”, ripartiti in prestiti e contributi a fondo perduto, e che si aggiungono alle misure già approvate dal Consiglio Europeo (Mes Bei e Sure), non solo rafforzano la proposta franco-tedesca, ma rappresentano un forte investimento sul futuro politico comunitario. Commissione e Parlamento, del resto, hanno colto sin dall’inizio la gravità della crisi, ed assieme alla BCE, che ormai sta funzionando come una vera e propria Banca Centrale, hanno elaborato una risposta politica alla pandemia, di cui gli strumenti finanziari prospettati dalla Von Der Leyen sono la logica conseguenza. Restano da definire i criteri cui prestiti e contributi saranno vincolati, e soprattutto i tempi di erogazione, determinanti per la tenuta del tessuto sociale e produttivo europeo da qui ai prossimi mesi.

Ostili alla proposta della Commissione, così come a quella franco-tedesca, si sono dichiarati i paesi “frugali”, guidati dall’Olanda innamorata del dumping fiscale e dall’Austria di Sebastian Kurtz, che due anni fa fece riscrivere i manuali scolastici di storia in chiave anti-italiana. Grazie all’esercizio del diritto di veto, Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, cui si è aggiunto il premier ungherese Orban, avvieranno delle snervanti trattative in vista del Consiglio Europeo di metà giugno: o si interviene su questo meccanismo, quando anche il tabù della revisione dei trattati sembra cadere, od il Consiglio continuerà a rappresentare il vero freno all’integrazione continentale, portando inevitabilmente alla disgregazione l’Europa dominata dagli egoismi nazionali. Ne trarranno vantaggio Cina, Stati Uniti, Russia e Turchia, di cui certo potremmo diventare debitori, con la consapevolezza di dover rinunciare realmente a qualche diritto politico e civile.

La litania sovranista diventa ancor più demagogica quando l’Europa dichiara di voler mettere in campo per l’Italia 173 miliardi di aiuti, 82 a fondo perduto e 91 in prestiti. Il Governatore della Banca d’Italia Vincenzo Visco, la cui autonomia peraltro era messa in discussione fino a qualche mese fa, nelle Considerazioni finali presentate il 29 maggio ha indicato la strada della “ragionevole speranza” evocata anche dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno. Nonostante l’Italia sia attesa da un durissimo autunno, con un possibile calo del PIL del 13%, la sostenibilità del debito pubblico – garantita (e non piacerà ai sovranisti) dalla BCE – e l’elaborazione di un nuovo “contratto sociale” tra “Governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni, società civile”, potranno condurci fuori da questo periodo buio ed aiutarci a combattere le crescenti diseguaglianze.

Ma non ci riusciremo senza un cambio di passo deciso, che tolga ai sovranisti la possibilità di soffiare sul vento della protesta sociale. Col Covid i tanti problemi irrisolti del paese sono venuti al pettine. Il contrasto fra Stato e Regioni, alimentato dalla perenne campagna elettorale e dagli interessi di parte, ha messo a nudo i limiti delle riforme costituzionali degli ultimi vent’anni, i cui limiti sono stati ampiamente denunciati dall’Associazione Mazziniana. L’edilizia scolastica, vero perno per garantire la riapertura delle scuole, al di là del legittimo auspicio che a settembre i ragazzi possano tornare in classe, è ferma da ormai trent’anni. La Corte dei Conti, nel recentissimoRapporto sul coordinamento della finanza pubblica, ha osservato che dal 2012 novemila medici italiani sono emigrati all’estero, soprattutto nel Regno Unito, in Svizzera, Francia e Germania. Gli aiuti europei ed il modo in cui saranno utilizzati, saranno determinanti per il futuro del nostro paese.

Per questo il 2 giugno, dopo mesi di inattività forzata, alcune delle nostre sezioni si riaffacceranno alla vita sociale, nel rispetto del distanziamento e delle norme di sicurezza, per sostenere il valore democratico ed “europeo” della scelta repubblicana del 1946. Lo faranno con lo spirito con cui Mazzini scrisse all’“Associazione Emancipatrice di Scicli” il 9 luglio del 1862: “L’Italia inizia oggi la Terza vita. Non dimenticate mai che la vita d’Italia fu sempre vita d’Europa. L’Italia della Roma repubblicana diede unità materiale all’Europa. L’Italia della Roma papale le diede per molti secoli l’unità morale. […] Oggi vivremo, se vivremo per l’Europa se, fedeli alla nostra tradizione, intenderemo che il nostro pensiero e la nostra azione doveva movere dalla Nazione. Una causa da base potente a promuovere il bene e il progresso di tutti i Popoli. Se no, no. Ricadremo come chi tradisce il proprio mandato”.

Michele Finelli