Anticipiamo l’ editoriale del Presidente Nazionale che sarà pubblicato sul PM 1 del 2022

Piccolo vocabolario mazziniano per il 2022

Per contenere la spinta inflattiva, acuita dalla guerra, la Banca Centrale Europea ha annunciato il rialzo dei tassi di interesse a partire da luglio. È ancora troppo presto per dire se siamo giunti alla fine della stagione del “whatever it takes” di draghiana memoria, ma senza dubbio si tratta di una misura ampiamente prevedibile, vista l’analoga decisione assunta dalla Federal Reserve ai primi di maggio. Può piacere o meno, e forse il momento non è dei migliori, ma la Banca Centrale Europea usa gli strumenti che ha disposizione. Spetta agli stati membri, attraverso risposte politiche e misure economiche unitarie – come ad esempio stabilire un tetto al prezzo del gas o preparare nuovi Bond europei – stemperare gli effetti del rialzo dei tassi e più in generale attutire l’impatto della guerra. Ci aspetta un 2022 non meno duro dei due anni precedenti, ragion per cui ho cercato di stilare un piccolo vocabolario mazziniano che ci accompagni nei prossimi mesi.

Umanità. Principio universale che rifiuta il nazionalismo, con cui alcuni oggi faziosamente e volutamente distorcono il patriottismo di Mazzini, che affidava alla Nazione “una missione secondaria, grado intermedio alla missione generale dell’Umanità”. Nazione come mezzo, dunque, e non come fine. 

A poco più di cento giorni dalla vile invasione russa dell’Ucraina, questo principio va rivendicato con forza. L’intellettuale francese Raphaël Glucksmann, in un’intervista al Corriere della Sera, ha spiegato che “tra le difficoltà economiche e la […] stanchezza […] morale”, negli europei sembra essere subentrata “assuefazione” nei confronti dei massacri russi, e scarsa consapevolezza dei rischi di un escalation del conflitto. Per la maggior parte delle persone sembra essere irrilevante se in un post sul suo account Telegram Dimitry Medvedev, vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo, abbia scritto di odiare “gli occidentali e di [voler] farli sparire”, o se qualche giorno fa la notizia delle deportazioni in Siberia dei civili ucraini abbia occupato le pagine dei giornali. Improvvisamente i problemi sembrano essere diventati la tenace resistenza degli ucraini o le richieste di Zelensky, percepite quasi come un “ostacolo” al ritorno alla normalità. Se uno stato straniero occupasse il 20% dell’Italia – ha chiesto provocatoriamente Roberto Balzani – voi “issereste la bandiera del nemico e buttereste il tricolore, l’inno di Mameli, etc.?” In Ucraina è in corso un attacco anche contro l’Europa. Putin, così come il suo ideologo Alexander Dugin, non ha mai fatto mistero di ritenere degenerata e inutile la nostra democrazia.

È in nome del concetto di Umanità che per l’Associazione Mazziniana è stato naturale e doveroso schierarsi al fianco dell’Ucraina, un paese sovrano aggredito. Ciò non significa ripudiare la pace, ma oggi appare ancora lontana. La Russia, che ha bombardato Kiev pure lo scorso 29 aprile, in occasione della visita del Segretario Generale dell’Onu Guteress, non è seriamente intenzionata a sedersi al tavolo delle trattative, in cui l’Ucraina dovrà avere maggiori garanzie rispetto agli invasori. Il colloquio del 9 giugno tra Putin, Macron e Scholz non sembra abbia fatto registrare passi in avanti.

Stati Uniti d’Europa. La guerra in Ucraina, assieme alla pandemia, ha fatto emergere le difficoltà e i limiti dell’Unione, peraltro ampiamente stigmatizzati sulle pagine de “Il Pensiero Mazziniano” e nei nostri incontri. L’abbandono del progetto di Costituzione comune, dopo la bocciatura di Francia e Olanda nel 2005, rappresenta ancora una ferita aperta, avendo svuotato di linfa ideale il sogno europeo. La dipendenza energetica dalla Russia, a lungo sottovalutata, impone oggi nuovi e frettolosi accordi con paesi non propriamente democratici (anche Biden, del resto, è tornato a bussare alla porta di Maduro e a Riyad), mentre nel 2014 l’annessione della Crimea fu ritenuta il prezzo da pagare per garantirsi un futuro di pace. L’ultimo errore, a mio parere, è stato cedere ad Orban sul sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, dopo aver dichiarato enfaticamente di voler andare avanti senza di lui. Si è raggiunto così un accordo al ribasso, che esclude il patriarca Kirill dalle misure restrittive e posticipa al gennaio del 2023 l’applicazione delle sanzioni al petrolio russo che arriva via mare (l’Ungheria lo riceve via terra). Ancora una volta è emersa la farraginosità del metodo intergovernativo, contro il quale questa crisi sembra almeno avere smosso qualcosa. 

Ha ragione Piero Graglia quando definisce “storico” il discorso tenuto da Mario Draghi lo scorso 3 maggio a Strasburgo, forse anche perché il Presidente del Consiglio, lontano dall’Italia e dalle riottosità di un governo le cui forze sono proiettate sulla campagna elettorale del 2023, riesce a dare il meglio di sé. Un discorso importante, privo di retorica, capace di coniugare spinta ideale e richieste di riforma, a partire dall’abolizione del “principio dell’unanimità, da cui origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati” per muoversi “verso decisioni prese a maggioranza qualificata. Un’Europa capace di decidere in modo tempestivo – ha sostenuto Draghi – è un’Europa più credibile di fronte ai suoi cittadini e di fronte al mondo”. È il momento in cui dovrebbe nascere quella che ebbi modo di definire l’Europa a due velocità istituzionali, non importa se attraverso la “Comunità politica europea” ipotizzata da Macron o attraverso la modifica – peraltro lunga e laboriosa – dei trattati. Una spinta in questa direzione è arrivata anche dalla Conferenza sul Futuro dell’Europa. Ignorata dai media e penalizzata dalla pandemia, che ha azzerato le occasioni di incontro in presenza, la Conferenza è riuscita comunque a dare voce a migliaia di cittadini e associazioni europee, valorizzando la partecipazione dal basso che Mazzini riteneva strumento essenziale per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa. 

Solidarietà. L’Unione Europea non è un gigantesco Bancomat cui gli stati membri possano attingere liberamente, magari ignorando, come Polonia e Ungheria, i più basilari diritti civili. La solidarietà ha un valore morale e ideale, oltre che economico (vedi alla voce precedente). In questo momento il legame tra i paesi dell’Unione, come ha ricordato Draghi a Strasburgo, si costruisce anche attraverso un “coordinamento efficace fra i sistemi della difesa. La nostra spesa in sicurezza è circa tre volte quella della Russia, ma di divide in 146 sistemi di difesa, gli Stati Uniti ne hanno solo 34”. Questa scelta non mette in discussione l’Atlantismo o la Nato, ma sarebbe utile poter contare su una autonomia strategica nel momento in cui gli interessi europei non coincidano pienamente con quelli degli Stati Uniti o con il “Global Britain” di Boris Johnson. 

Lavoro. Gli effetti della guerra non sono solo psicologici, ma pesano anche sul portafoglio: il rischio di una crisi alimentare globale è dietro l’angolo, mentre la spinta inflattiva cui abbiamo  accennato ha vanificato la ripresa e gli effetti benefici del Recovery Fund. La remuneratività delle retribuzioni, come chiarito dalla stessa Ursula Von Der Lyen, è un problema urgente, cui l’Unione cerca di ovviare con la direttiva sul salario minimo europeo, recentemente approvata a Strasburgo. Si tratta di un passaggio importante perché dimostra che su certe questioni le istituzioni comunitarie si stanno muovendo in una logica “federale”. In Italia, dove la definizione di una paga minima è rimessa alla contrattazione collettiva, la questione salariale si intreccia con la scarsa produttività del lavoro, messa a nudo dall’OCSE nel “Compendio degli indicatori sulla produttività”: “tra il 2010 e il 2016 la produttività italiana, intesa come Pil per ora lavorata, è aumentata solo dello 0,14% medio annuo”. Difficoltà di fare impresa, basso livello di competenze, carenze strutturali e frammentazione del tessuto produttivo, con un enorme divario tra nord e sud, incidono sulla scarsa crescita dei salari (addirittura diminuiti del 3% rispetto a trent’anni fa) e sulla qualità del lavoro, con un numero di morti bianche inaccettabile. Secondo un rapporto dell’Inail nei primi tre mesi del 2022 le vittime sul lavoro sono state 189, mentre gli incidenti sono aumentati del 50% rispetto all’anno precedente, in prevalenza nei settori con retribuzioni minori e maggiore domanda, come  magazzinaggio e trasporti. A proposito di trasporti, ha colpito lo scorso 8 giugno lo sciopero del personale di Ryanair, EasyJet e Volotea, che ha portato alla cancellazione di 360 voli. Tra le motivazioni della protesta mancato adeguamento dei minimi salariali, perduranti tagli agli stipendi e nessuna garanzia su cibo e acqua per gli equipaggi. Un quadro preoccupante, con gli aerei nuovamente pieni, cui si aggiunge la carenza di controllori nei principali aeroporti europei – ad esempio Schipol in Olanda – per i tagli operati nel settore durante la pandemia e che dovrebbe far riflettere sulla sostenibilità di questo modello di sviluppo. 

In questo quadro difficile, del quale è impossibile fornire una fotografia esaustiva in poche pagine, il messaggio mazziniano torna di attualità grazie al workers buyout, ovvero il processo di operazioni finanziarie che consente di costituire una nuova impresa, il più delle volte in forma cooperativa, attraverso l’acquisizione dell’azienda di origine da parte dei lavoratori stessi.  Si tratta nella maggior parte dei casi di aziende in crisi, o a fine corsa per l’assenza di un passaggio generazionale: il workers buyout esalta anche il senso del dovere verso il proprio lavoro, elemento fondamentale per la costruzione di un nuovo patto sociale tra cittadini, imprese e Stato (vedi alla voce successiva).

Dovere. Nel 1840, quando concepì I Doveri dell’Uomo, Mazzini indicò agli immigrati italiani a Londra il Dovere di educarsi e migliorarsi per assumere consapevolezza dei propri diritti, all’epoca negati dagli assolutismi. In questo sta la forza del suo pensiero: il Dovere come grimaldello per abbattere, attraverso la responsabilità, il concetto di cittadinanza passiva, valido strumento di lotta contro le diseguaglianze, anche economiche. Per Mazzini l’equilibrio tra diritti e doveri garantiva ricadute positive sulla società, legando la responsabilità individuale alla vita collettiva. L’assenza di questo equilibrio, che va ritrovato, ha inciso sull’indebolimento della democrazia, sulla smaterializzazione dei diritti e sulla perdita di riferimenti. 

Educazione. Con la pandemia e la guerra in Ucraina i social media e più in generale il Web hanno assunto un effetto devastante. Amplificano la realtà, o ne creano addirittura una nuova – come accade nei talk show russi – ed incidono pericolosamente sulla percezione del presente, aumentando il divario tra informazione e conoscenza, a scapito della seconda. L’informazione non è conoscenza: la prima è una scorciatoia, la seconda è fatica e complessità. Un concetto che si riassume anche nella differenza tra Istruzione ed Educazione tracciata da Mazzini, pilastro fondamentale di ogni democrazia, che ci rimanda ancora una volta al Dovere di educarsi. 

Il mazzinianesimo offre dunque una chiavi di lettura importanti per le sfide europee del presente e del futuro. Come Associazione Mazziniana saremo sempre in prima fila nell’affrontarle, memori di una storia nata durante l’occupazione nazi-fascista e che si avvia a compiere, nel 2023, ottant’anni di onesta e gloriosa esistenza.