Anticipiamo l’editoriale del Presidente Nazionale che sarà pubblicato sul PM 2/2020

Il 20 settembre tra Europa e Referendum

In un pianerottolo del mio palazzo il sole di settembre illumina, attraverso ampie vetrate, gli arcobaleni disegnati da due giovanissimi condomini a metà marzo, affiancati dal motto #andràtuttobene. Sembrano l’unico briciolo di umanità rimasto dei due mesi di quarantena forzata, sopravvissuto a un’estate di polemiche e livore.

Al futuro di questi due bambini, e dei loro coetanei, avrà pensato Mario Draghi prendendo la parola, lo scorso 18 agosto, al “Meeting” di Rimini, quando ha invocato tutela per le giovani generazioni, chiamate a ripagare il debito pubblico italiano, il cui peso si è accresciuto ulteriormente con la pandemia. Secondo l’ex presidente della Banca Centrale Europea, “per anni una forma di egoismo collettivo ha indotto i governi a distrarre capacità umane e altre risorse in favore di obiettivi con più certo e immediato ritorno politico: ciò non è più accettabile oggi. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza”.

Si tratta di un appello sensato e condivisibile, non riducibile semplicemente ad una critica nei confronti delle politiche economiche adottate dal governo in risposta alla pandemia. In primo luogo perché le “giovani” generazioni stanno pagando l’elevato debito pubblico italiano da almeno trent’anni, con la precarizzazione del lavoro iniziata con la Legge Treu e la progressiva perdita di garanzie economiche e sociali. In secondo luogo perché, rispedendo al mittente le offerte di chi lo vorrebbe alla guida di un governo di emergenza, Draghi ha velatamente ribadito che non basta un “salvatore della patria” per risolvere i drammatici problemi posti dalla pandemia, in assenza di una collaborazione armonica e leale di tutte le energie del paese. Un invito alla responsabilità collettiva rivolto a governo e opposizione, ad amministrazioni pubbliche ed imprese, per non vanificare lo sforzo compiuto dalla stragrande maggioranza degli italiani in questi mesi difficili, cui la politica stenta a fornire un modello di comportamento comune.

Ad occupare l’agenda del dibattito estivo sono state principalmente le mascherine, additate da più parti come emblema di una “dittatura sanitaria”, piuttosto che raccomandate come strumento di protezione da un virus che in pochi mesi ha ucciso nel mondo quasi un milione di persone. Mentre in Italia si è polemizzato a lungo sul (doloroso) distanziamento sociale, assecondando gli umori negazionisti e i toni violenti dei social network, in Francia si raggiungono i diecimila contagi giornalieri ed in Israele, indicato come modello nella lotta al virus, è in corso la seconda chiusura totale del paese., tocca come sempre al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella compiere gesti unificanti e dall’alto valore simbolico, come l’apertura dell’anno scolastico a Vo’ Euganeo, e richiamare le forze politiche alla collaborazione sul Recovery Fund, dopo che la Commissione, è bene ricordarlo, ha già proposto al Consiglio Europeo di destinare all’Italia 27,4 miliardi di prestiti agevolati del piano SURE, che saranno fondamentali in autunno, quando finirà il blocco dei licenziamenti, ed anche liberi professionisti e piccoli imprenditori affronteranno un periodo durissimo.

Tornando al Recovery Fund, impensabile fino a pochi mesi fa, esso rappresenta, con buona pace dei sovranisti e dei reazionari, una svolta cruciale nelle politiche europee. Il 16 settembre, nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione, la Presidente della Commissione Von Der Lyen ha confermato la straordinarietà di questo piano di investimenti: il 20% delle risorse sarà destinato al digitale, il 37% alla Green Economy, anche per sostenere l’obbiettivo di abbattere le emissioni di anidride carbonica del 55% entro il 2030 (rispetto al 40% inizialmente previsto). Nelle linee guida per l’accesso ai fondi la Commissione Europea ha chiarito di privilegiare i gramdi progetti per massimizzare l’impatto dei fondi ed “aumentare il potenziale economico, creare occupazione e rafforzare la resilienza” del sistema. Per l’Italia, che tra il 2021 ed il 2022 potrà ricevere 44 miliardi a fondo perduto, non sarà una passeggiata. Come ha osservato correttamente Bruno Marasà l’accesso alle risorse non dipende solo dal governo, ma dal funzionamento complessivo del “sistema Italia nelle sue articolazioni territoriali (regioni, enti locali), imprese (grosse e piccole), enti di ricerca, università”. Un paese che ha difficoltà ad utilizzare i fondi del bilancio ordinario, sarà in grado di seguire la tabella di marcia prevista dal Recovery Fund? La prima scadenza, non perentoria, per la presentazione dei piani è il 15 ottobre, quindi si aprirà una finestra di otto settimane in cui le proposte saranno discusse, e dal gennaio 2021 si potrà cominciare ad attingere alle risorse, che dovranno essere spese entro il 2024. I segnali arrivati dagli Stati Generali, convocati frettolosamente, ed i numerosi e frastagliati progetti presentati finora dai ministeri, per il cui finanziamento complessivo servirebbero circa 600 miliardi, fanno pensare ad una strada in salita. Per questo serve la responsabilità di tutti, in primis dei partiti, incapaci di abbandonare questo un clima di perenne campagna elettorale.

Proprio nello scollamento tra classe dirigente e società civile, che i mazziniani stigmatizzano da anni, nasce il nostro “No” al Referendum del 20 settembre. Siamo in presenza dell’ennesima riforma costituzionale piegata alle esigenze della contingenza politica. Il taglio dei parlamentari non è inserito nell’ambito di una armonica riforma della macchina statale, ma è figlio di un populismo aggressivo che, insistendo retoricamente sulla diminuzione dei costi della politica, colpisce il principio della rappresentanza e rischia di allontanare ulteriormente i cittadini dalla partecipazione alla vita democratica del paese. Una vittoria del “Si”, paradossalmente, rafforzerà la “casta”, accrescendo il potere decisionale dei partiti sulla scelta dei candidati. A ciò si aggiunge il modo confusionario in cui in questi giorni è stata discussa in Commissione Affari Costituzionali la nuova legge elettorale. La bozza del “Brescellum” non è affatto incoraggiante: le liste bloccate e il disegno di nuovi collegi plurinominali incideranno negativamente sulla rappresentanza territoriale (pensiamo, ad esempio, all’Abruzzo e alle isole), e non basterà certamente il “diritto di tribuna” per le minoranze a colmare questo vuoto.
Per rendere più efficienti Camera e Senato, cosa naturalmente auspicabile, piuttosto che un apriscatole ed un taglio chirurgico di deputati e senatori, sarebbe stato utile partire dalla riforma dei Regolamenti parlamentari, attesa da anni. Ed impegnarsi su materie che aiuterebbero il Parlamento a riappropriarsi della sua centralità e a tornare un punto di riferimento per i cittadini. Penso alla legge sul “fine vita”, ancora più urgente dopo la storica sentenza del Tribunale di Massa, che lo scorso 27 luglio ha assolto Mina Welby e Marco Cappato dall’accusa di istigazione al suicidio. Sarebbe il modo migliore per onorare il centocinquantesimo anniversario della Breccia di Porta Pia e della fine del potere temporale dei Papi. Ha fatto bene Ursula Von Der Lyen, nel già citato intervento sullo stato dell’Unione, a ricordare le radici democratiche e laiche dell’Unione Europea. La drammatica morte di Maria Paola Gaglione, uccisa dal fratello per la sua relazione con un compagno transgrender, maturata in un contesto difficile come quello di Caivano, dimostra che la lotta alla povertà perde valore se non è inserita all’interno di una più ampia campagna educativa e civile.

Mazzini la sua lotta l’ha combattuta fino alla fine. Centocinquanta anni fa, intorno al 20 settembre, dalla Fortezza di Gaeta, affranto e prigioniero in patria, scrisse a Carmelo Attanari, giovane cittadino della località laziale, un breve ed ancora valido messaggio: “Piccolo fratello mio, Ti ringrazio pel tuo pensiero gentile. Cresci onesto, lavora, diventa un buon italiano sia che tu viva su queste sponde, sia che la sorte ti chiami altrove”.