Giù le mani dal Canto degli Italiani

Nel settembre scorso, in una lettera aperta al Direttore del “Domani” Stefano Feltri, intervenivo sulla manipolazione in chiave sovranista del “Dio, Patria e Famiglia” mazziniano, istituzionalizzata da Giovanni Gentile e dal fascismo durante il ventennio ed oggi riproposta da numerosi intellettuali di destra, tra i quali ricordo Pierangelo Buttafuoco. Spiegavo che tale interpretazione è mistificatoria perché non tiene conto di due elementi essenziali. Il primo è che per Mazzini un uomo, per compiere il suo dovere, deve essere un uomo libero, e dunque vivere ed agire in un contesto democratico. Il secondo, ancora più importante, ben chiarito peraltro da Stefano Recchia e Nadia Urbinati nell’antologia di scritti mazziniani Cosmopolitismo e Nazione, uscita nel 2011, è che per Mazzini Dio, Patria e Famiglia erano ricompresi nel più ampio cerchio dell’Umanità, intesa come vero e proprio “soggetto politico” per il futuro. Mazzini lo spiega chiaramente nel quarto capitolo de I Doveri dell’Uomo: “quelli che v’insegnano morale, limitando la nozione dei vostri doveri alla famiglia o alla patria, v’insegnano, più o meno ristretto, l’egoismo, e vi conducono al male per voi medesimi. Patria e Famiglia sono come due circoli segnati dentro un circolo maggiore che li contiene […] l’Umanità”. Nazione come mezzo, dunque, e non come fine, per raggiungere gli Stati Uniti d’Europa fra paesi liberi e democratici sul modello della Repubblica Romana del 1849.

Le manipolazioni, purtroppo, come gli esami non finiscono mai. Oggi, quando ho letto l’articolo di Tomaso Montanari pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” intitolato Fratelli d’Italia, il triste inno nazionalista fuori dalla storia ho sentito, come allora, l’esigenza di intervenire contro un’altra mistificazione, che identifica il Risorgimento democratico col nazionalismo. Riferendosi alle parole di Mameli Montanari  scrive che “la patria è il fine, la vita dei suoi figli è il mezzo. La persona umana non conta nulla: conta solo il destino della nazione”, aggiungendo che esse “si iscriv[ono] perfettamente nella retorica risorgimentale cui appartiene”, dimostrando di non aver colto – o di non voler cogliere – il messaggio proveniente da Mameli, Mazzini e dai democratici dell’epoca. Se il Risorgimento fosse stato fatto di sola retorica e vuote parole, come pensa Montanari, non avremmo conosciuto, tra le tante, l’esperienza della Repubblica Romana, in difesa della quale Mameli sacrificò la sua giovane vita. Come è noto, mentre i francesi erano già entrati a Roma, l’Assemblea Costituente approvò una costituzione che abolì, tra le altre cose, la pena di morte ed il potere temporale del papa, diventando modello per i costituenti italiani nel secondo dopoguerra. Questo elemento è stato completamente ignorato da Montanari, che anzi si spinge a dire, nell’affermazione a mio parere più mistificante, che l’inno di Mameli è “così opposto ai valori della Costituzione repubblicana”. Sappia Montanari che a Forlì, nel circolo repubblicano di “via lunga”, ricostruito mattone dopo mattone dai mazziniani al termine della seconda guerra mondiale, campeggiano ancora due lapidi. La prima, collocata più in alto, ricorda i caduti del circolo durante la Prima Guerra Mondiale. È stata ricomposta e custodita gelosamente dopo che nel 1924 i fascisti la danneggiarono in un assalto squadrista. La lapide sottostante ricorda proprio quelle violenze, e fu collocata nel 1949, in occasione del centenario della Repubblica Romana: “Questo marmo dedicato ai caduti spezzato da sacrilega mano fascista nel 1924 la Sezione Aurelio Saffi riconsacra nell’anno centenario della Repubblica Romana 1949”. Giù le mani dal Canto degli Italiani, dunque. E dalla tradizione democratica del Risorgimento italiano.