Mazzini sfida il Covid19

Anticipiamo l’editoriale del Pres. Naz.le A.M.I., Michele Finelli, che verrà pubblicato sul P.M. n. 1/2020.

Mazzini sfida il Covid19


«Una pagina triste della nostra storia». Non potevano esserci parole più adatte di quelle usate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per definire il momento che stiamo attraversando, inimmaginabile fino a due mesi fa, se non forse per la penna di uno sceneggiatore di B-movies. Anche se la situazione attuale non ha paragoni, bisogna tornare ai tragici attacchi a Charlie Hebdo e al Bataclan per ricordare uno smarrimento simile a quello che si respira nelle nostre città, in cui il silenzio assordante è rotto solo dalle sirene delle ambulanze.
Il Covid19 non fa distinzioni. Colpisce tutti: si muore negli ospedali e si muore a casa. I familiari non possono neppure salutare i loro cari, spesso cremati a centinaia di chilometri di distanza. Ma non risparmia neppure i primi ministri che, volutamente ignari di quanto stesse accadendo in Italia, parlavano di “immunità di gregge” invitando cinicamente i connazionali a prepararsi alla morte delle persone amate.
Ma il virus attacca anche chi non è stato contagiato, attraverso una pressione psicologica che mina le certezze della quotidianità. Dal lavoro agli affetti, dal fare la spesa alla possibilità di recarsi dal dentista, ci ha privato di ogni punto di riferimento. Il Covid19 è un nemico invisibile. Non ha bisogno del passaporto. Può sopravvivere sulla maniglia della porta di casa, o sulla busta di plastica della spesa. È la cartina di tornasole della fragilità di un mondo che si credeva invincibile, e si scopre debole e incapace di reagire con prontezza.
Chissà cosa penserebbe Giacomo Mazzini, padre di Giuseppe, che tra il 1835 ed il 1837 durante l’epidemia di colera che colpì Genova rimase in città per curare i concittadini, mentre molti colleghi erano scappati per il timore del contagio.
Senza dubbio il figlio lancerebbe una sfida al virus. In primo luogo lasciando fare ai medici e agli scienziati il loro lavoro, senza cercare di improvvisarsi virologo da tastiera. Lui penserebbe alla risposta culturale, etica e politica da dare alla pandemia. La prima sfida la affronterebbe richiamando il valore dell’Educazione. “Educatevi alla tempesta”, diceva sovente Mazzini ai collaboratori più stretti e ai militanti repubblicani. La tempesta è arrivata, settantacinque anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e non siamo in possesso degli strumenti culturali adatti per affrontarla. Ancora una volta il Web e i social network dimostrano che vivere in un mondo altamente tecnologizzato non rafforza l’orizzonte culturale comune, ma rappresenta piuttosto un antidepressivo dal quale ci si vuol sentir dire solo ciò che si vuole ascoltare. A fronte di questo c’è un sistema scolastico e universitario indebolito senza dubbio da una politica di tagli che ha raggiunto l’apice con la Riforma Gelmini, ma anche da un’eccessiva burocratizzazione che ha delegittimato l’autorevolezza di un corpo docente non sempre all’altezza; “Vanverismo pedagogico” è una pagina di Facebook che con ironia mette a nudo i limiti di un sistema improntato sull’efficienza e sui numeri, ma ormai poco attento alla sostanza e ai contenuti dell’insegnamento. Anche questa, come ha ricordato Paolo Rumiz, ha contribuito allo smantellamento di “cultura e senso del dovere”.
Già, il Dovere. Nell’anno in cui, come Associazione Mazzinana, celebriamo il centosessantesimo anniversario della pubblicazione integrale de I Doveri dell’Uomo, il Covid19 rappresenta l’occasione per lanciare una sfida etica. Per carità, nel nostro paese l’etica non scarseggia. Ci sono milioni di persone che, in queste difficili giornate, stanno compiendo il loro dovere in silenzio. Da chi combatte negli ospedali a chi presidia le strade, da chi lavora in un supermercato a chi consegna la spesa a casa alle persone più fragili. Ma anche chi resta a casa, in questo momento, sostiene l’Italia, perché prima di proteggere sé stesso, tutela la salute altrui. Si tratta tuttavia di una passione civile che, essendo disinteressata, non gode di unanime apprezzamento. In questi giorni infatti abbiamo assistito anche a manifestazioni di egoismo di una fetta consistente della nostra società, che percepisce la cittadinanza come un gigantesco “Bancomat del Benaltrismo”, piuttosto che cogliervi l’esercizio di un dovere “politico” attivo, che impegna ognuno di noi a mettere il bene comune davanti alla propria quotidianità.
Superato questo momento, l’etica dei “volenterosi” non potrà più bastare, perché bisognerà ricostruire e rifondare il paese. In quel momento la politica dovrà fornire delle risposte su questioni cruciali. A cominciare dai partiti, e dal mondo in cui selezioneranno la classe dirigente ed apriranno le porte a nuovi militanti. Il nostro NO al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, dopo questa crisi, sarà urlato ancora più forte. Come dimostra questa vicenda, c’è bisogno di una classe dirigente che sappia assumersi responsabilità anche impopolari, pensando al futuro del paese, e non al tornaconto elettorale immediato; che rifletta sul funzionamento dei rapporti tra Stato e Regioni; che si domandi perché solo grazie al Covid19 ci sia resi conto dell’importanza della sanità pubblica (che non vuol dire gratis perché si paga con le tasse), dopo i drastici tagli degli ultimi trent’anni, che hanno dirottato ingenti somme sul settore privato per puri interessi clientelari. Dopo aver lasciato questi temi in mano al populismo, è ora che la politica psicanalizzi sé stessa, affronti i suoi limiti torni a pensare alle cose serie.
La battaglia ora si gioca a Bruxelles e a Strasburgo. La Commissione Europea e la stessa BCE, superata l’imperdonabile uscita di Christine Lagarde anche grazie all’intervento di Mario Draghi, vogliono fare la loro parte. La vera sfida politica, Mazzini la giocherebbe sfidando il Consiglio Europeo. Se neppure una vicenda come quella del Coronavirus convince la Germania, dietro la quale si nascondono i paesi del Nord Europa, della necessità di emettere debito pubblico comune, l’Europa muore. Alla maggioranza dei cittadini europei risulterebbe difficile comprendere perché non si possano predisporre gli Eurobond in una fase di gravità eccezionale ed aliena ai tradizionali meccanismi economici e finanziari.

Di fronte alla morte di migliaia di cittadini europei, gli Eurobond rappresenterebbero la miglior risposta, quella della coesione e della marcia verso l’integrazione. Una politica fiscale comune, peraltro, non offrirebbe più alibi a nessuno. Non all’Italia che, proponendo un debito pubblico europeo, torna ad assumersi le responsabilità di paese fondatore della CEE consapevole di dover mantenere gli impegni presi, ma li toglierebbe anche alla Germania e ai paesi del Nord Europa, che non potranno più negare l’importanza degli investimenti produttivi, a maggior ragione in presenza di una fase emergenziale. Lo stesso Macron, che ha sempre puntato sul rapporto privilegiato con Berlino, si è schierato al fianco dell’Italia.
A meno che, e Angela Merkel e gli olandesi dovrebbero dirlo con chiarezza, non si voglia fare un grande regalo ai sovranisti, che hanno trovato nel Covid19 un avversario che li ha privati delle tradizionali armi di bassa propaganda. Donald Trump, dopo aver smantellato l’“Obamacare” e sminuito la pandemia, farà i conti con una recessione che spazzerà via i successi economici sui quali contava per una facile rielezione. Il già citato Boris Johnson, appena festeggiata la Brexit, deve scontrarsi con la debolezza del “National Health Service”, cui mancheranno i consistenti fondi europei. Anche Putin ha dovuto arrendersi all’evidenza, rinviando addirittura il referendum sulla Riforma Costituzionale che dovrebbe incoronarlo “Zar” a vita. Nel nostro paese, invece, i migranti sono usciti dal discorso pubblico, salvo alcune fake news incapaci in questo momento di fare presa sulla popolazione impaurita da una minaccia reale.
Di fronte a questa titubanza del Consiglio Europeo, correttamente stigmatizzata dal Presidente Mattarella nel discorso di ieri 27 marzo, l’articolo di “Le Monde” che presenta l’Italia come paese destinatario di aiuti “interessati” da parte di Cina e Russia è assolutamente fine sé stesso. In un mondo dominato dall’emotività dei social, non stupisce che il cittadino italiano lodi le mascherine cinesi e trovi incomprensibile il comportamento di Angela Merkel. La minaccia del multilateralismo la combattiamo da anni, e senza un’Europa solidale oltre che attenta ai conti, di mascherine dalla Cina e dalla Russia ne arriveranno ancora tantissime. Non è casuale che uno dei leader dell’opposizione, affaticato ma non domo, grazie all’atteggiamento tedesco abbia rilanciato immediatamente l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea.
Siamo a un bivio. L’Europa e il mondo sono a un bivio. L’Associazione Mazziniana sa quale strada prendere. Come all’inizio della sua storia, durante l’occupazione nazifascista di Milano, vorrà partecipare alla ricostruzione di una democrazia che, senza Etica, Educazione ed Umanità, continuerà ad essere un corpo monco, incapace di progettare il futuro e sfidare l’imponderabile.