Quando a Londra i giovani immigrati italiani conducevano una vita da schiavi

Arrestati dalla polizia londinese i capi della tratta – Accadeva il 20 settembre 1861

Le condizioni di sfruttamento, fino ad arrivare alle forme di schiavitù vera e propria, sono sempre state considerate, nella percezione comune, come appannaggio di realtà africane, medio orientali-asiatiche, di paesi in cui le guerre etnico-religiose avevano e continuano a creare devastazioni e massacri che hanno spinto inevitabilmente le popolazioni a migrazioni epocali.

Migranti che, nella totale indigenza e disperazione, diventavano merce disumanizzata e conseguentemente degradata ad oggetto di inevitabile transazione commerciale.

Inoltre ci siamo abituati a conoscere il significato di parole e concetti come “scafisti, traffico di persone umane schiavizzate, mafie che controllano questo mercato umano” se non qualcosa di peggio. 

Conseguentemente, a seguito dei continui disastri umanitari che comportano movimenti migratori incontrollati di clandestini, si è sperimentata nelle società occidentali l’insicurezza e le difficoltà di convivenza etnica per motivi d’inconciliabilità culturale e per i timori rappresentati dai fatti di terrorismo avvenuti nel recente passato e possibili nel presente.

Tuttavia questa minacciosa realtà, che si è ripresentata con virulenza in questa nostra epoca, non è altro che la continuità, pur con un percorso a zig-zag di  mimetizzazione del fenomeno, con la brutalità schiavistica del “mondo antico”, dell’epoca della tratta dei “neri d’Africa” nelle Americhe, fenomeno che ha veicolato  il sanguinoso corollario della guerra di Secessione degli Stati Uniti.

Questo per ricordare a grandi linee una realtà scomoda, al fine di comprendere la complessità dei fenomeni che hanno e che continuano a condizionare e macchiare il difficile percorso della storia sociale dell’umanità.

Tuttavia fenomeni del genere sembravano non coinvolgere l’Europa e l’Italia dell’ottocento. Invece una sorpresa storica, di dimensioni non irrilevanti, esce finalmente dalle nubi dell’ipocrisia e dai vincoli della cultura dominante, offrendo un sorprendente scenario di crudezza e di sofferenza sociale.

E’ quanto ci propone l’episodio riportato nel volume “Accadde nel 1861 – Cronache, indiscrezioni e retroscena dell’Unità d’Italia” – Edizioni del Capricorno – La Stampa, che riporto integralmente. 


Giovani italiani in schiavitù a Londra – Accadeva il 20 settembre 1861

«The Italians are coming», «Arrivano gli italiani»: lo dicono a Londra quando sentono qualche sgangherato organetto.

Lo suonano poveri ragazzi italiani, che si fingono scemi e fanno boccacce per elemosinare qualche moneta.

Sono stati reclutati da sfruttatori italiani nei circondari di Chiavari, La Spezia, Parma e Piacenza. La malavita li ingaggia, paga loro il viaggio in Inghilterra, poi si fa consegnare il passaporto.

In cambio di misero vitto e di sordidi alloggi le ragazze si devono prostituire, i maschi darsi all’accattonaggio camuffato da povero commercio.

Venerdì 20 settembre 1861 la polizia londinese arresta alcuni capi di questa tratta, «un mercato di schiavitù» che da Londra si è diffuso in tutto il Regno Unito.

La polizia ha accertato che «i giovani schiavi italiani» sono di due tipi: «Vi sono venditori di zolfanelli e fettucce, che cercano di impietosire i passanti simulando qualche malanno, non però schifoso e visibile. Alcuni si presentano con un porcellino d’India o un topo, che fanno ballare».

A Londra la polizia ne ha censiti 200. Altri 4000 sono nel resto del Paese. A questi si aggiungono «gli organari»: 800 a Londra, più 12.000 nel territorio britannico.

Il Governo italiano è imbarazzato. Deve provvedere al rimpatrio dei «giovani liberati dallo sfruttamento, che però non vogliono tornare in Italia. Dicono che a casa farebbero la fame. Il rimpatrio era già la minaccia esercitata dai loro padroni quando non raccoglievano abbastanza denaro».

Probabilmente lo spaccato sociale sopra descritto era comune in molte altre realtà di Paesi europei e costituiva l’espressione di un profondo disagio economico, tipica condizione del sottoproletariato, che avviliva l’esistenza delle famiglie e in particolar modo dei minori a cui era riservata una vita di miseria morale e materiale.

In ultima analisi sono sempre state le condizioni economiche che hanno vincolato le aspettative di riscatto dei ceti sociali e che nello stesso tempo hanno indirizzato la storia della collettività verso l’aspirazione della legittima crescita sociale.

Nello stesso tempo l’etica e la morale si configurano come un comodo paravento, una cornice di un quadro che, rappresentando una realtà drammatica di degrado e violenza, vorrebbe artisticamente attenuarla.

Ma resta una cornice  e non è certamente la cornice che può modificare il contenuto espressivo e sostanziale del quadro stesso.

Tuttavia, se lo scenario dell’ottocento sopra rappresentato non sarebbe più proponibile oggi nel mondo occidentale, questo non significa che lo stesso “abbruttimento e degrado umano” non si manifesti, sotto forme diverse, nella nostra attuale realtà sociale. 

In fondo cambiano i tempi, ma non la dinamica economica che determina chi può disporre di ricchezza, di libertà d’azione e chi invece ne resta privo.

Un esempio raccapricciante, che è costantemente sotto gli occhi di tutti e nell’indifferenza generale, sono le centinaia di migliaia di giovanissime (anche minorenni) ragazze africane (e non), schiavizzate e costrette a prostituirsi sulle strade delle città italiane ed  europee.

Purtroppo, come l’evidenza insegna, non c’è nulla di nuovo sotto sole.

L’antico aforisma “Homo homini lupus”, che sintetizza l’aspetto crudele e ostinatamente egoistico che alberga nell’inconscio dell’uomo, ha trovato immancabilmente l’occasione, in ogni epoca e circostanza, per la sua costante e brutale conferma.

In fondo si può sommare a quanto sopra l’ulteriore constatazione  che evidenzia come il tentativo di modificare la misteriosa e sfuggente natura antropologica dell’uomo sia così difficile (se non impossibile) da uguagliare quella che si riscontra nella quadratura del cerchio.

Fonte dll’ articolo: http://www.bdtorino.eu/sito/articolo.php?id=35042