(Il Tirreno, 10 marzo 2017 – di Fabio Demi)
Stanco e malato, il grande “apostolo” del Risorgimento italiano usava il falso nome di George Brown per sfuggire alla polizia regia
Ma chi è quel vecchietto dalla cera malaticcia, dal viso macilento e dall’andatura incerta? Nasconde forse qualcosa dietro la sua pensosa gravità malinconica? A volte, nelle giornate soleggiate, lo vedono passeggiare nel giardino di casa Nathan Rosselli; a volte esce dall’elegante palazzina e fa due passi in via della Maddalena, nel centro di Pisa, accompagnato da un servitore. Di sicuro è un forestiero.
Nelle sue memorie un professore della Scuola Normale, Ferdinando Martini, ricorda che lo incrociava spesso. Ed era molto curioso di sapere chi fosse. Un giorno vide il medico della famiglia Nathan Rosselli, il dottor Rossini, suo amico, uscire dall’abitazione, e gli chiese se conosceva l’identità di quell’uomo avvolto da un alone di mistero. «Certo – rispose il medico – è il mio malato. Si chiama George Brown, è un negoziante. Pensavo fosse inglese, invece è italiano, di Genova, però abita da 40 anni in Inghilterra. Una brava e simpatica persona. Nel dicembre scorso, in Svizzera, ha avuto una brutta bronchite. È giù di forze, spero che si riprenda».
Già, il signor Brown. No. Quell’uomo non si chiamava George Brown, negoziante italiano emigrato in Inghilterra. Si chiamava Giuseppe Mazzini, rivoluzionario italiano ingiustamente costretto all’esilio e alla clandestinità.
SOTTO FALSO NOME
Cosa ci faceva Mazzini a Pisa nel febbraio del 1872? E soprattutto perché uno dei padri della patria, l’apostolo dell’Italia unita e indipendente, il combattente instancabile per la libertà, girava addirittura sotto falso nome, celando la vera identità come un qualsiasi criminale?
Eppure la sua lotta pluridecennale aveva dato i frutti: l’amatissima Italia era sbocciata, anche a Roma sventolava ormai il tricolore, e l’odiato Papa era confinato nel chilometro quadrato del Vaticano. Ma l’Italia era nata sotto l’egida della monarchia dei Savoia. Avevano vinto Cavour e Vittorio Emanuele II.Lui, Mazzini, non aveva rinnegato la pregiudiziale repubblicana. Nella sua visione della patria, non c’era posto per i re. Così, anche dopo l’unità d’Italia aveva continuato la sua vita nomade di esule perenne, di ricercato dalla polizia sabauda. Il suolo nazionale, che lui venerava come sacro, gli era precluso. Senza pietà, senza sconti. Se lo intercettavano in Italia, lo mettevano in galera. Alla faccia della gratitudine.
DA LONDRA A LUGANO
Riavvolgiamo il nastro di qualche anno. Nel 1868 Mazzini lascia Londra, dove aveva trascorso i lunghi anni dell’esilio, e si stabilisce a Lugano, in Svizzera. Due anni dopo vengono amnistiate le condanne a morte inflittegli al tempo del Regno di Sardegna. Mazzini può dunque rientrare in Italia, dove, indomito, si dedica all’organizzazione di moti per appoggiare la conquista dello Stato Pontificio. Il 14 agosto 1870 viene arrestato a Palermo e rinchiuso nel carcere di Gaeta. Poco più di un mese dopo, le truppe italiane entrano a Roma. Per celebrare lo storico evento, lo Stato promuove un’amnistia e l’eroe del Risorgimento può uscire di galera e riprendere la via verso la Svizzera. Stanco, sfinito, malato, con la sensazione della morte imminente, ha il desiderio di rivedere la natìa Genova, dove abita la sorella Antonietta. Spera che ella, rimasta vedova da poco, possa offrirgli un rifugio, seppur con tutti i rischi del caso. Ma le delusioni e le amarezze non sono finite.
LE LETTERE ALLA SORELLA
Giuseppe scrive ad Antonietta. Le chiede di ospitarlo. La donna, che ha 76 anni, vive in un bell’appartamento e gode di agiate condizioni economiche. È sorpresa e turbata dalla richiesta del fratello. Molto religiosa, al limite della mania, si rivolge ai suoi confessori per avere un consiglio. Le parole dei religiosi sono perentorie: si guardasse bene dal ricevere in casa quell’anima del demonio. L’accoglierlo avrebbe attirato su di lei i fulmini della vendetta divina. A meno che… A meno che Mazzini non si converta, faccia pubblica ammenda dei suoi peccati e rinneghi quanto scritto contro il Papa e contro il clero. Antonietta prende carta e penna e comunica al fratello le condizioni poste dagli uomini di chiesa.
«NON RINNEGO NULLA»
Mazzini risponde che non ha nulla da rinnegare, ritrattare e calpestare del suo passato, e che il suo unico desiderio è di ritrovare la sorella per una assistenza reciproca in attesa di una morte serena. Antonietta trasmette la risposta ai confessori, che però sono irremovibili. Pur con il cuore spezzato, la donna manda a Giuseppe una lettera in cui gli dice che non se la sente di prendere in casa un ostinato nell’empietà, rimettendolo al perdono di Dio. Mazzini non nasconde il suo dolore per questa decisione ma rassicura la sorella: ti voglio bene lo stesso.
Però è forte la volontà del profeta repubblicano di morire in Italia, in quell’Italia che lo rifiuta ma che lui, con dedizione infinita, ha contribuito a costruire.
L’ARRIVO A PISA
Ad accoglierlo, ben contenti di avere un ospite così straordinario, sono dunque i signori Rosselli, stretti parenti della famiglia Nathan, cui Mazzini era legato da vecchia e fraterna amicizia. Così, agli inizi di febbraio del 1872 lascia Lugano e giunge di nascosto a Pisa. La casa dei Rosselli è in via della Maddalena 38 (l’attuale via Mazzini, dove ora si trova la Domus dedicata al grande italiano). Inizia così la breve storia del signor George Brown, negoziante inglese. Mazzini si riposa, ma il suo corpo sta ormai cedendo.
«LE RUGHE DEL VOLTO…»
Il dottor Rossini affida a pagine commosse i suoi ricordi: «Le rughe del volto, il colorito delle guance, il pallore delle labbra, indicavano un uomo che aveva dovuto soffrire fisicamente e moralmente. La vivacità dello sguardo, l’animarsi del volto al mio giungere avevano potuto illudermi per un istante; presto però comprendevo che io avevo da fare con un uomo provato alla scuola del dolore. E purtroppo non mi ingannavo. Non era il dolore fisico, ma ben anco il morale, che si erano congiunti a logorare una volontà di ferro, ed un organismo troppo debole per resistere alle lunghe lotte che aveva dovuto sopportare».
LA CRISI FATALE
Il 6 marzo le condizioni di Mazzini fanno temere il peggio, tanto che i Nathan Rosselli avvertono gli amici più intimi, i massimi dirigenti del movimento mazziniano e la sorella. Il 9 il malato viene visitato dal professor Minati, dell’università di Pisa, che lo trova gravissimo: «Divenne afonico e cominciò a manifestarsi una leggera esaltazione mentale». Il pittore macchiaiolo Silvestro Lega, fervente repubblicano, lo ritrae in punto di morte. Il grande cuore di Mazzini cessa di battere alle 13.30 del 10 marzo.
IL DOLORE IN TUTTA ITALIA
La notizia si propagò in un battibaleno. L’emozione nel paese fu enorme e, mentre le autorità prendevano le misure per impedire, o quantomeno controllare, eventuali manifestazioni anti monarchiche, i capi del movimento repubblicano assunsero due decisioni per trasformare il lutto in un’occasione di rilancio: l’imbalsamazione del corpo di Mazzini per perpetuarne la memoria anche visiva e il trasporto delle spoglie in treno da Pisa al cimitero di Staglieno a Genova. «La posta in gioco – scrive Sergio Luzzato in “1872. I funerali di Mazzini” – coincideva con una Pasqua di resurrezione. Nell’Italia del signor Brown clandestino e dei Savoia trionfanti, la fede nella repubblica era destinata a risorgere come per miracolo presso il sepolcro di Mazzini, o era destinata a scomparire per sempre sotto una pietra tombale da falso messia».
IL TRENO PER GENOVA
La linea ferroviaria Pisa-Genova non era completa, dunque il viaggio della salma fu lunghissimo: il convoglio passò da Lucca, Pistoia, Bologna, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Alessandria. A ogni stazione il treno con le spoglie di Mazzini fu accolto da tanta gente commossa. Ai funerali di Genova, secondo il prefetto (non certo mazziniano…), parteciparono centomila persone. Una folla enorme. La gloria che all’apostolo della patria era stata negata in vita, gli veniva tributata da morto.
L’ESPOSIZIONE DELLA SALMA
Nonostante che il processo di imbalsamazione non fosse riuscito alla perfezione, il 10 marzo 1873, a un anno dalla morte, la salma fu esposta al pubblico. Una scena memorabile. Così la descrive Giuseppe Cesare Abba, ex garibaldino: «In uno dei viali, su d’una specie di letto mortuario, giaceva Mazzini vestito di nero, così com’era sempre andato al mondo. Tutta la processione gli sfilò davanti. E quelli che lo avevano veduto vivo sentivano un brivido, rivedendo ancora quale era stata quella testa canuta, dalla fronte spaziosa come un cielo, dalle tempie larghe; quella persona esile, nell’abito severo, fin colle scarpe ai piedi». L’ostensione della salma di Mazzini fu ripetuta nel 1946 per festeggiare la vittoria della repubblica sulla monarchia nel referendum del 2 giugno. Ma lo stato di conservazione risultò troppo precario. Da allora, il sonno dell’eroe del Risorgimento non è stato più disturbato.
LA SCHEDA: Una vita da esule e da agitatore instancabile
Giuseppe Mazzini nacque a Genova il 22 giugno 1805 e morì a Pisa il 10 marzo 1872, dunque 145 anni fa. Nel 1827 entrò nella Carboneria seguendo le sue idee patriottiche e democratiche. Rivoluzionarie, insomma. Due anni dopo, nel 1829, iniziò la sua collaborazione con l’Indicatore Livornese, giornale fondato da Guerrazzi, e viaggiò in Toscana per aggregare nuovi aderenti alla Carboneria. Mentre dopo pochi numeri la pubblicazione labronica era soppressa dal governo toscano, Mazzini veniva tradito a Genova e consegnato alla polizia come carbonaro. Fu quello il primo di una lunga serie di arresti. Nel 1831, prosciolto dalle accuse per mancanza di prove, fu però costretto a scegliere fra il confino all’interno del Regno di Sardegna e l’esilio.
Scelse l’esilio, e da quel momento iniziò il suo girovagare in numerose città europee. Proprio in quel 1831, fondò la società segreta Giovine Italia che si proponeva di costituire l’Italia «una, indipendente, libera, repubblicana». Nel 1834 diede vita anche alla Giovine Europa, per favorire la nascita di libere nazioni europee affratellate.
Agitatore instancabile, visse soprattutto tra la Svizzera e Londra. La sua avversione alla monarchia non gli consentì di rientrare regolarmente nell’Italia unita tra il 1861 e il 1870. Fu eletto tre volte alla Camera dei deputati del Regno, ma la nomina fu annullata e non accettata. Visse da esule fino all’ultimo. Quando giunse a Pisa, poco prima di morire, dovette usare un nome falso.